Mi è venuto in mente di scrivere questa riflessione perché poco tempo fa, ho appreso dell’esistenza nella mia nazione della giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri. Fu uno scrittore, poeta e politico Italiano nato a Firenze nel 1265 e morto a Ravenna nel settembre del 1321. Fra le sue opere, mi ha sempre colpito la parte della Divina Commedia che descrive i sette peccati capitali: L’inferno.
Un pò di tempo fa in una lettera, una persona di un’altra nazione mi chiese quali fossero i valori che guidavano la mia vita. Lo ha fatto perfettamente consapevole della mia età e del mio pensiero critico. Non è infatti una domanda che si può fare ad un ragazzino perché ancora troppo condizionato dall’esempio e da tutte le tendenze del momento.
Sebbene sia innegabile il fatto che anche le persone un po’ più stagionate come me possano senza dubbio farsi influenzare dalle tradizioni e dalle credenze, con il tempo, dovrebbe svilupparsi un senso critico guidato da un’empirica esperienza. Tale modello molte volte interferisce con le nozioni che abbiamo acquisito in passato e ci da un’idea, se non altro temporanea, di ciò che sono gli altri e di ciò che vorremmo essere noi.
Ho risposto a questa domanda che potevo scrivere ciò che vorrei evitare di fare e di essere perché la complessità del mondo, a mio modesto avviso, non può essere imbrigliata in un codice di comportamento troppo rigido. Potremmo essere limitati li dove non ce n’è bisogno e sicuramente, in un mondo in cui non si condividono gli stessi valori, sarebbe inevitabilmente uno svantaggio enorme.
A questo punto sono stato incalzato perché voleva avere una risposta meno generica ed allora ho dovuto riflettere, in modo più approfondito. Vorrei quindi condividere con voi il frutto di questo pensiero. In primo luogo, verrebbe da rispondere che il mio codice di comportamento si limita alle leggi, ma è mia opinione che queste, per loro natura, non possono basarsi troppo sull’aspetto morale.
Era quindi necessario redigere un decalogo che fosse additivo ai regolamenti imposti in un determinato luogo e mi è venuto in mente subito Dante Alighieri con il suo Inferno. Come molte opere pregresse ed immortali, basa la comprensione dei propri contenuti su un viaggio metaforico le cui tappe possono essere riassunte con i famosi sette peccati capitali.
Naturalmente ci sono laureati, specialisti, dottorandi e professori che si metterebbero le mani ai capelli qualora dovessero leggere quanto sto per dirvi. Ma si tratta solo della mia opinione da comune mortale. Sebbene gli scritti di questo poeta potrebbero essere esposti in modo più organico ed appropriato, voglio sperare che anche voi condividiate con me l’assunto secondo il quale questi contenuti sono patrimonio dell’umanità e che non dovrebbero essere appannaggio solo dei dotti.
Studiare un determinato argomento può voler dire dedicarcisi tutta la vita senza comunque apprendere a pieno il significato. Io non ho tutto questo tempo a disposizione, gli argomenti su cui ponderare nell’universo sono tantissimi e quindi mi limito a farne una riflessione superficiale con tutto il rispetto per coloro i quali sono del settore e che ne sanno più di me.
Si tratta di elementi che compongono l’animo umano ed hanno certamente a che fare con la nostra natura animale che poco si adatta a quello che è il vivere in una società civilizzata.
Il peccato dell’Accidia
La parola accidia nella mia lingua, vorrebbe esprimere la tendenza che può avere un’entità ad essere costantemente annoiata, indifferente ed inoperosa. Il senso che questa parola vuole comunicare è certamente l’assenza della gioia di vivere e di godere di tutte le meraviglie che la vita terrena o ultraterrena può offrirci. Le conseguenze di questa abitudine, potrebbero portare una persona a tendenze negative, a comportamenti criminosi ed alla depressione.
Chi è accidioso di norma se riesce a trovare un lavoro, tende a fare le cose trascinandosi nel peggior modo possibile. L’assenza di capacità di apprezzare le gioie del creato e di una vita sana e regolata, possono portare la persona a cercare con altri mezzi di colmare il vuoto intrinseco nel proprio animo. Chi si sente in questo modo, non si prefigge di solito una meta o è troppo deluso da se stesso e dagli altri per poter credere di poterlo raggiungere con metodo e costanza. In tal senso, si rischia di diventare cinici ed indifferenti verso ciò che ci circonda.
Una società in cui l’accidia prospera è una società di persone annoiate, depresse, tristi, egoiste e che non si aiutano fra loro. L’accidioso è quella persona che deve inventare sempre modi nuovi, alternativi e stupidi per dare uno scopo alla sua vita. E’ quella persona che non soccorre il prossimo se lo vede sul ciglio della strada in difficoltà. L’accidia è chiamata anche il vizio dei monaci o il demone notturno.
Non è così raro che gli accidiosi tendano ad abbandonarsi all’ira, alla lussuria o alla gola in qualità di surrogati alla capacità di godere e condividere la gioia della vita. Dante Alighieri senza dubbio, seguendo i precetti cristiani, vede la vita come un dono divino che è un peccato sprecare. Nel corso della storia questo vizio ha senza dubbio celato nell’ombra milioni di talenti che avrebbero potuto arricchire l’umanità sia da un punto di vista spirituale che scientifico.
Il peccato dell’Avarizia
Con avarizia di solito si intende la scarsa attitudine di una persona a spendere i propri beni. Non bisogna essere necessariamente ricchi per essere avari. Essere avari di un determinato modo di fare è una parola che rientra a pieno titolo nel linguaggio comune. Una persona potrebbe essere avara perchè non spende i propri soldi per acquistare un bene o un servizio e potrebbe essere avara nel prestare o donare i propri soldi o il proprio tempo in una causa benefica. Si può essere avari di qualsiasi cosa si possa dare agli altri e quindi non è essenziale che si tratti necessariamente di beni materiali.
La persona avara pensa di possedere il controllo sui meccanismi della vita perchè la necessità del denaro, ha da sempre martoriato il tessuto sociale delle persone. La paura della malattia, di qualche imprevisto, potrebbero portarci ad essere predisposti all’avarizia. La caratteristica principale di questo vizio è l’avversione per la condivisione. Più si ha e più si è attaccati ai possedimenti. Pensiamo ad esempio ai litigi fra le famiglie a causa dell’eredità.
Qualcuno sostiene che i poveri siano meno attaccati alle cose materiali ed abbiano la tendenza a condividere di più con il prossimo. Io penso personalmente, a rischio di venire smentito, che in realtà i poveri sono meno attaccati alle cose perché hanno ben poco a cui attaccarsi. E’ sufficiente farsi un giro nei paesi più poveri che sono flagellati dalle guerre per rendersi conto della lotta continua per la sopravvivenza. Questa immagine è un pochino in antitesi con lo stereotipo che circola.
C’è gente che si combatte violentemente anche per un sorso d’acqua nel mondo. Inoltre, il povero che condivide fa una sorta di investimento perché sa che se divide un panino in due non morirà di fame e l’altra persona un giorno potrebbe decidere di condividerlo come ha fatto lui. Dobbiamo stare molto attenti a non farci irretire da quegli stereotipi che vengono condivisi sicuramente in buona fede ma che non ci danno un’idea della crudeltà della vita rendendoci di fatto sempre più deboli, inermi ed ingenui.
Ritengo che non vi sia alcun dubbio che questo modo di fare affondi le proprie radici nell’egoismo. Le esperienze negative e l’informazione, possono portare le persone a diffidare degli altri ed a pensare che non meritino i nostri beni o le nostre azioni. La predisposizione sempre più crescente ad accumulare capitali è una tendenza figlia del fatto che si è dimenticato che i soldi ed i beni sono solo elementi funzionali, senza coscienza e senza anima. Senza però scadere nell’ipocrisia e rimanendo con i piedi ben piantati per terra, sappiamo tutti che i soldi servono per vivere ma se li teniamo per noi, l’economia non gira.
Alcune filosofie orientali predicano il fatto che l’avarizia sia frutto dell’errata convinzione che benessere materiale sia necessariamente uguale alla felicità. Ma tutti sanno che i soldi non fanno la felicità. Una volta pensavo che i soldi fossero una specie di ombrello metaforico. Quello che mi ripetevo sempre era: “piove sempre su tutti ma chi ha l’ombrello più grande si bagna di meno”. Poi ho capito che è meglio disporre di tanti amici ed ombrelli disposti come le testuggini degli antichi romani. Un ombrello con il tempo si può perdere, deteriorare o rompere anche se è bello grosso.
Il peccato della Gola
L’ingordigia, ovvero la consumazione di cibi e bevande oltre le normali necessità dell’individuo, per secoli è stata condannata come un esempio di predisposizione alla lascivia (attitudine ad assumere comportamenti di tipo vizioso). Non sono rari i casi in cui il soggetto ingordo viene etichettato anche come lussurioso, tossico, stupido ed in generale tendente al vizio. Si è sempre pensato che chi non è in grado di controllarsi nel cibo, non sarà in grado di controllarsi dagli altri istinti primordiali ed animali.
Mangiare e bere in maniera sregolata, poco sana ed eccessiva provoca agli esseri umani delle problematiche di salute ed a volte anche di natura economica che non possono essere trascurate. L’impatto anche sui sistemi sanitari nazionali è rilevante. L’avvento dei fast food con cibo a buon mercato ha favorito la diffusione di abitudini che da un lato hanno interferito con le entrate delle altre attività commerciali concorrenti che vendono cibo e dall’altro hanno inciso parecchio nella salute della popolazione nei paesi dove sono più diffusi.
A mio avviso non sono comunque i fast food la causa dell’aumento di patologie legate ad una ipernutrizione. Come tutti sappiamo, all’interno di queste catene di distribuzione, le insalate semplici ci sono. Nei ristoranti classici di norma volendo si trovano dei dolci supercalorici. Diciamo che la problematica da un punto di vista macroscopico è dovuta al fatto che è aumentata in alcuni paesi la disponibilità di cibo e zuccheri. La cosa interessante è che i fast food, secondo me devono il loro successo proprio al fatto che le cose costano meno e che quindi non fa alcuna differenza da un punto di vista economico per l’operaio andare a mangiare li o portarsi il pasto da casa.
Ai tempi in cui la miseria era più equamente distribuita da un punto di vista geografico, contrariamente a quello che viene trasmesso dagli stereotipi, la persona grassa veniva assimilata all’ingordigia ed era vista malissimo a causa di un particolare tratto spiccatamente umano chiamato invidia. Da un punto di vista globale infatti sono davvero poche le culture che tollerano senza stereotipi la persona grassa. Quest’ultima appare come la personificazione dell’ingordigia intesa come un’egoistica prevaricazione del diritto altrui di nutrirsi.
Infatti anche Dante Alighieri relega nel terzo cerchio dell’inferno i golosi i quali possono cibarsi di fanghiglia nera e priva di sostanze nutritive assimilabili. Queste povere anime vagano inscheletrite dalla fame e contribuisce a peggiorare la situazione, la presenza di alberi ricolmi di frutti succosi che loro non potranno raccogliere mai. Viene vista come una sorta di giustizia divina. Il povero poteva coltivare la speranza che tutti i sentimenti di invidia che aveva provato sulla terra potessero essere vendicati dalla sofferenza dell’oggetto di questa invidia nell’altro mondo.
La gola ad un’analisi superficiale può sembrare il vizio meno grave fra quelli che abbiamo esposto fino ad ora ma non è così. Sebbene la gola riguardi un ambito personale che potrebbe danneggiare apparentemente solo l’individuo che ne è preda, se ci concentriamo in ambito macroscopico ci rendiamo subito conto quale enorme impatto possa dare alla società.
Detto questo, da un certo punto di vista, non si può che apprezzare quanto paradossale sia il fatto che i fast food, hanno livellato le cose fra ricchi e poveri. E quindi se essere sovra alimentati fosse un diritto, avrebbero dato anche al povero il diritto di esserlo. Io preferisco i ristoranti di qualità tipici della zona ma non ho i soldi per andarci ogni giorno.
Il peccato della Lussuria
La lussuria viene indicata come eccesso di quei pensieri o azioni senza i quali però la nostra specie si sarebbe già estinta da un pezzo. Come anche tanti peccati capitali, viene condannato ovviamente l’eccesso che è inteso nella cristianità come una sorta di opposto alla temperanza. Non dimentichiamoci che la Divina Commedia, è un libro che affonda le proprie radici nella religione e che contiene al suo interno dei personaggi che secondo l’autore sarebbero stati preda di questi peccati.
Queste persone, in un modo o nell’altro erano antagonisti o nemici dello scrittore che in tal modo li descriveva. Dal mio punto di vista il concetto di lussuria si estende non solo alla sfera fisica dei soggetti che mettono in atto pensieri o opere legati a questo vizio, ma è sicuramente legato anche a coloro i quali, basandosi su tali pensieri sconosciuti alle menti più ingenue, giudicano gli altri male.
Per fare un esempio nell’immagine precedente, una persona innocente e del tutto priva di pensieri lussuriosi, avrebbe semplicemente visto una donna che gusta una fragola. Per Dante, la lussuria e la gola vengono considerati due tipi di incontinenze carnali e non spirituali. Si fa riferimento quindi all’ambito delle azioni e non all’ambito del pensiero. Diversamente avviene per l’ira e l’avarizia che sono visti come due tipi di incontinenze spirituali.
Ad una moderna analisi, notiamo anche la presenza dei sodomiti nei gironi dell’inferno legati a questo vizio. All’epoca venivano perseguitati dalle leggi cristiane e con l’attuale visione moderna, in cui non si parla più di “peccati contro natura”, questa risulta un’opera che non vuole essere politicamente corretta ma che è comunque coerente con lo spirito dell’epoca.
Il peccato dell’Invidia
L’invidia è uno di quei sentimenti umani che non risentono dei cambiamenti sociali e della modernità. Si tratta da un punto di vista letterale della sofferenza che prova un individuo per la propria percezione di non poter raggiungere ciò che si desidera e che apparterrebbe ad altri. Da un punto di vista cristiano l’invidia viene vista come l’opposto alla carità e quindi per questo motivo condannata.
Chi crede di non poter raggiungere o possedere determinate cose, spesso finisce con l’odiare coloro i quali le posseggono o hanno raggiunto determinati obiettivi. Invece di ammirare il soggetto ed eventualmente lavorare con tutte le proprie forze per il raggiungimento di quell’obiettivo, l’invidioso tende a proiettare su questo tutta la sua frustrazione provando risentimento per la felicità, prosperità od il benessere di qualcuno.
Si tratta di uno stato d’animo molto pericoloso perché la storia ed anche il presente, ci hanno insegnato che è in grado di inquinare le menti più illuminate e minare i rapporti più fraterni. Non è infatti raro che all’interno di una stessa famiglia vi possano essere dei soggetti più privilegiati che vengono costantemente disprezzati ed osteggiati da tutti gli altri.
Da un punto di vista sociale l’invidia è stata da sempre utilizzata per muovere le masse e manipolare le menti degli esseri umani. Questo viene fatto ancora oggi e sono piuttosto sicuro che verrà fatto anche in futuro. Si tratta di un peccato che difficilmente abbandonerà gli esseri umani a dispetto del tempo.
Il peccato dell’ira
Credo di avere ragione quando dico che nessun essere umano sia immune da questo sentimento. La natura ha dotato in misura diversa tutte le specie animali di un meccanismo grazie al quale, l’organismo si prepara all’azione per fini competitivi. Come l’avarizia e l’invidia, questo vizio è stato alla base dei più efferati errori del genere umano. Ne sono un chiaro esempio le guerre e tutti gli altri generi di violenza.
A differenza degli altri peccati però, l’ira è un vizio cosiddetto rapido. Molte volte ci vogliono anni per covare altri tipi di sentimento negativo. Poichè l’ira nasce dall’esigenza naturale ed animale di una reazione ostile rapida, di solito cessa con la stessa velocità con la quale si è impossessata dell’animo del soggetto. Chi ha ceduto all’ira normalmente si pente di quello che ha fatto, troppo spesso, quando è già troppo tardi.
Con il progredire della modernità e della società, l’ira risulta un tipo di comportamento sempre più inaccettabile e che preclude all’uomo la possibilità di diventare un essere illuminato lontano dalla dissennatezza degli animali selvaggi. Con l’aumentare della popolazione, vi è la necessità sempre crescente di regolamenti che inibiscono quelle espressioni di aggressività insite nell’animo umano. In alcuni casi questo può generare delle frustrazioni che se non correttamente gestite, possono purtroppo generare ira.
Da un punto di vista cristiano l’ira è l’esatto opposto della virtù della mansuetudine che è cardine fondamentale di alcune religioni ed anche di una vita armoniosa e felice in una società. Nel corso del tempo l’ira è stata difesa da diverse persone “anche di cultura” per giustificare l’ipocrisia delle proprie o altrui azioni.
Non è mai una buona cosa perdere il controllo, a volte può succedere perchè siamo umani ma una sana educazione, la saggezza di rimanere lontani da determinate tentazioni ed una buona dose di volontà, possono salvare noi stessi e gli altri dalla piaga della violenza (di qualsiasi natura).
Il peccato della Superbia
La persona superba ha la tendenza a pensare che sia giusto che occupi un posto di spicco nella società. Si tratta di un pensiero molto diffuso nelle persone di potere ma non solamente in queste ultime. Si può essere superbi per motivi empirici come aver raggiunto un determinato obiettivo o per motivi ideologici come ad esempio nel caso del razzismo.
Chi viene dominato da questo sentimento normalmente è poco incline all’auto critica ed ha, al pari di altri vizi, la tendenza all’autoindulgenza per i propri comportamenti. Poichè gli altri vengono considerati inferiori, la persona che pecca di superbia crede che sia giusto che abbiano un trattamento diverso. Qualora le aspirazioni della persona superba siano superiori alle proprie capacità o possibilità, egli ha la tendenza ad abbassare gli altri.
In alcuni comportamenti, la superbia può apparire molto simile all’invidia ma è necessario fare delle distinzioni fra le due cose. Il superbo non necessariamente è invidioso degli altri. Per fare un esempio, un imperatore difficilmente invidierà il tenore di vita del contadino ma riterrà giusto che egli viva in quelle condizioni perché il reggente ritiene di meritare di più.
Nel corso della storia, sono quasi inesistenti gli attori della vita che, una volta raggiunto un determinato status, si ricordano e perseguono valori come l’umiltà, la carità e l’uguaglianza senza intenti manipolatori o ipocriti. La superbia si trova in antitesi con il moderno concetto politico della libertà ed uguaglianza ed è in diretta contrapposizione con le dottrine che vedono la divinità come unica entità superiore.
Come avviene anche per gli altri vizi, anche questo può essere mitigato con l’educazione e la cultura. Si osserva infatti che non vi è peggior superbo di una persona povera, umile e ignorante che per qualche motivo raggiunge una posizione di potere.
In conclusione
Indipendentemente dai motivi che possono aver spinto l’autore della Divina Commedia ad immortalare con incantevoli versi il frutto del suo immaginario, mi trovo grato di avere l’opportunità di poter riflettere su me stesso per potermi concentrare ogni giorno sul miglioramento della mia persona.
Considero quest’opera come uno dei fondamenti della filosofia occidentale ed è straordinario notare quanto questi aspetti dell’animo umano abbiano contribuito a ciò che noi siamo. Non dimentichiamoci che la Divina Commedia comprende anche il Paradiso ed il Purgatorio.
Mi sento fortunato e vorrei indirizzare la mia gratitudine verso quegli autori che come Dante hanno voluto condividere la propria chiave di lettura nell’analisi dell’animo umano. Egli non è l’unico infatti ad essersi concentrato su queste problematiche, prima di lui ci sono state diverse collezioni di libri sacri e filosofici che hanno tentato di dare un nome alle tendenze dell’animo umano.
La predisposizione della nostra specie a questi sentimenti, senza l’aiuto degli scritti di questi autori, ci apparirebbero come un’amalgama incomprensibile ed incontemplabile dei più disparati comportamenti. I vizi e le virtù sono talmente intrecciati fra loro che risulta importantissimo il lavoro di classificazione di questi ultimi per una corretta analisi di noi stessi e del mondo che ci circonda.
Tuttavia, come avviene per tutte le cose, qualsiasi analisi per avere un senso necessita di uno scopo e quindi da qui nasce la domanda alla base della mia riflessione. Sono d’accordo che valori e disvalori debbano essere considerati affinché possa essere possibile migliorare da un punto di vista sociale la nostra specie. Ma come possiamo riuscire a farlo se il mondo si comporta in modo diverso?
Per fare un’esempio che dia meglio l’idea di quello che intendo, pensiamo ad una persona che non mente per nessun motivo. In un mondo di bugiardi sarebbe come una piuma in un oceano in tempesta e quindi o si difende adattandosi al comportamento degli altri oppure soccombe. Questa è stata la giustificazione che per secoli abbiamo usato.
Siamo indulgenti con noi stessi perchè rinunciamo ai nostri valori a causa del fatto che gli altri non li applicano e ci deludono. Non è un caso se nasciamo innocenti e con il tempo diventiamo sempre più diffidenti. L’esperienza ci dice che al di la delle belle parole vi è la vita reale. Il problema si pone quando determinati atteggiamenti hanno come conseguenza dei risultati di natura irrimediabile e permanente.
Come difesa a questo genere di tendenza l’umanità ha messo in atto nel corso del tempo un insieme di codici morali e sociali. Nel primo caso ne è un chiaro esempio la religione e nel secondo caso la legge. Naturalmente l’uomo essendo corruttibile e non immune dai sette peccati capitali a volte fallisce quando tenta di imporre o applicare queste regole e ciò porta le persone a crederci sempre meno.
Come si può fare quindi ad interrompere questo cane che continua a tentare di mordersi la coda? Riflettendoci, mi è venuta in mente solo una soluzione che è sempre stata nascosta sotto i nostri occhi. Si tratta dell’educazione che diamo alle nuove generazioni. So che cosa state pensando. Riempire di valori la mente dei giovani può non essere un buon servizio visto che gli altri non lo farebbero.
A mio modesto avviso però è sufficiente concentrarsi su un aspetto che è sempre stato troppo sottovalutato. La coscienza. Chi non crede in niente non può avere una coscienza. Non si tratta di uno status che si raggiunge necessariamente con la religione, si tratta più di un fattore ambientale ed educativo. La coscienza è figlia della compassione e del senso dell’onore.
Se consideriamo il fatto che siamo predisposti naturalmente a soffrire di più per chi è più vicino a noi, appare da subito chiaro che allontanandoci sempre più dal prossimo, limitiamo la nostra capacità di maturare una coscienza consapevole. In questo modo spingiamo sempre più verso il baratro le nuove generazioni che potrebbero in questo modo essere manipolate dall’assenza di coscienza o dall’istituzione di una falsa coscienza basata su valori che potrebbero fare più comodo ai manipolatori.
Capisco che mi sono messo a parlare di cose più grandi di me, si tratta infatti solo di una riflessione, sarei felice di leggere le vostre considerazioni in merito nei commenti.
Buona pasqua a tutti