Diario di una infanzia felice.

Ero bambina negli anni 60 e posso dire di aver avuto un’infanzia felice. Sono nata in campagna, in un paesino molto vicino alla città, tanto che ci si poteva tranquillamente andare a piedi. Ma rare erano le volte che andavamo in città, almeno fino a che non ho finito le scuole elementari che erano in paese. Non c’era molto bisogno allora di andare in città. Nel nostro paesino avevamo tutti i negozi che servivano, cioè il panettiere, i generi alimentari, il macellaio, tanto per dirne alcuni, ma c’erano anche due bar, uno alla casa del popolo e uno al circolo Acli, un ambulatorio medico, dove potevi acquistare anche le medicine che ti prescriveva il medico.

C’erano anche un paio di parrucchiere, un barbiere, l’edicola, la merceria, il ciabattino.

Ricordo che una volta a settimana, il venerdì arrivava con un camioncino il pescivendolo che si fermava nella piazza e nelle due o tre strade principali del paese e anche un altro camioncino che portava frutta e verdura. Questo passava però almeno due volte a settimana. E una volta al mese passava un altro camioncino che vendeva secchi, scope, e quanto poteva servire per la pulizia della casa.

Non mancava neanche la sarta e il sarto e il pastore,  dove andavi a comprare il formaggio e la ricotta.


Insomma avevi tutto a portata di mano e a chilometri zero.

Ricordo che mia madre mi mandava quotidianamente a fare la spesa. Non c’erano i supermercati allora e di solito si comprava in paese quello che mancava per il pranzo o per la cena.

Andavo al negozio di generi alimentari con una borsa di iuta a comprare il pane principalmente, ma anche quando serviva lo zucchero, la pasta, il sale e alte cose che servono in cucina. Il vino e l’olio di solito veniva comprato in fattoria. I prodotti che compravi al negozio di alimentari venivano incartati con della carta gialla o bianca che poi si riutilizzavano.Il latte si andava a prendere ad una fattoria vicina con una bottiglia di vetro,  dove il fattore lo mungeva e te lo dava ancora caldo, tanto che prima di arrivare a casa me ne ero bevuta almeno un quarto. Gli unici barattoli che mi ricordo di quei tempi erano quelli dei pomodori pelati.

Barattoli che si ritrovavano poi nel torrente (dove veniva buttata la spazzatura, che però era molto poca rispetto a quella di oggi).

E questi barattoli mi rievocano un altro divertimento di noi bambini in quegli anni. D’estate eravamo sempre nel torrente, sia perchè c’era più fresco e si stava con i piedi nell’acqua, sia perchè c’erano molti modi di giocare li.

Tornando ai barattoli, d’estate avevamo sempre un retino da pesca e andavamo a caccia di piccoli pesciolini che chiamavamo lasche ed erano molto sfilati e luccicanti, e girando i barattoli che trovavamo nel greto del torrente, insieme al fango veniva fuori, di solito molto spesso, un altro tipo di pesciolino che chiamavamo brocciolo. Questo invece era scuro e tozzo, tutto il contrario dell’altro. Nel torrente c’erano anche delle trote, ma quelle si potevano prendere solo adoperando una canna da pesca. Erano pesci molto furbi e non si facevano prendere con la retina da pesca.

E quando a sera tornavamo a casa con tanti di quei pesciolini, la mamma li cucinava e mangiarli tutti insieme era per noi bambini vanto di orgoglio. Comunque per buona pace degli animalisti non andavamo molto spesso a pesca, io personalmente perchè quei pesciolini non mi piacevamo molto.

Comunque il torrente d’estate era il luogo di ritrovo di noi ragazzi che di solito all’inizio dell’estate cominciavamo a scavare una buca nel mezzo del torrente. In un mesetto di circa di lavoro avevamo fatto una buca che ci permetteva di fare il bagno.

C’erano nel torrente un paio di posti con delle cascate e dei bozzi così grandi che d’estate c’era sempre gente a fare il bagno, ma di solito erano ragazzi più grandi e non ci volevano tra i piedi, per cui ci facevamo il posto personale dove farlo, e mi ricordo che era a 20 metri da casa mia, quindi doppia felicità, avevo il posto più bello a portata di mano. Addirittura con un piccolo staccio che ci aveva dato mia nonna, si faceva passare della terra asciutta e facevamo anche una specie di piccola spiaggia accanto all’acqua.

E io posso dire di essere stata fortunata, la nostra città e il mio paese non è molto vicino al mare, quindi ho visto il mare che avevo già 8 o 9 anni.

Sono stata tanto fortunata da poter andare in vacanza al mare 15 giorni. Ricordo che siamo andati in treno ed è stato il viaggio più aspettato della mia vita. Non riuscivo a dormire la sera, per due o tre giorni precedenti alla partenza, tanto era l’eccitazione che questo mi dava.

Poi in famiglia è arrivata l’auto e quindi viaggi ne facevamo spesso, sia al mare, che in montagna.


La domenica per esempio qualche volta  si andava a pranzo dalla nonna materna.

Mia nonna materna aveva sette figli, e  nel paese dove abitava, abitavano anche 4 delle sue figlie con i rispettivi figli. Quindi quando andavamo da nonna a pranzo era veramente una festa per me perchè vedevo i miei cugini e giocavamo insieme tutto il giorno.

Ma la festa più grande era che durante le vacanze estive mia nonna mi ospitava per una quindicina di giorni ed erano i giorni più divertenti dell’anno.

Dove abitavo io non c’erano molti bambini e quei pochi non stavano vicini a casa mia, quindi di solito giocavo con mio fratello che era più piccolo e con l’unica amica che avevo vicina che però quando avevamo 10 anni si trasferì in citta.

Il mio paese è abbastanza grande ma tutto sparpagliato per la campagna, un borgo di case da una parte, un borgo da un’altra e così via via sempre più lontane. Il paese principale contava non più di una decina di case. Quindi anche gli amici che ti facevi a scuola di solito erano abbastanza lontani da non poterci andare tutti i giorni.

Invece il paese di mia nonna era più piccolo ma tutto insieme, le case una appiccicata all’altra, con due o tre stradicciole all’interno e tre piccole piazze. Ma a girarlo tutto ci volevano pochi minuti. E i  bambini di circa la mia età in quel paese erano una decina, di cui almeno la metà erano miei cugini e cugine. Quindi bastava uscire di casa per trovare dei compagni di giochi.  Mi ricordo un gioco che facevamo spesso quando ci trovavamo tutti insieme la sera dopo cena. Si giocava a sardina, che è una specie di nascondino alla rovescia. Uno solo si nasconde e tutti gli altri devono trovarlo. Una volta trovato si nascondono insieme a lui e l’ultimo che rimane diventa la nuova sardina per il gioco dopo. Si chiamava sardina perchè quando eravamo alla fine del gioco si stava tutti stipati tipo sardine in una scatoletta, vuoi perchè di solito il posto in cui ci  si nascondeva era molto piccolo, vuoi perchè eravamo in molti, ma spesso gli ultimi ci trovavano perchè non riuscivamo più a trattenere le risate per esserci ritrovati così appiccicati che non riuscivamo ad entrarci.

Ricordo un’estate particolare nel paese di mia nonna, l’anno che finalmente arrivò la rete idrica. Il giorno dopo era domenica e già dalla mattina, tutti gli abitanti del paesino avevano riempito pentole e secchi di acqua che si gettarono addosso gioiosamente per tutta la giornata. Fu un giorno veramente meraviglioso per  tutti ma specialmente per noi ragazzi, che potevamo dar sfogo alla nostra esuberanza gettando acqua addosso anche agli adulti che quel giorno ridevano e basta.

Ho un bel ricordo anche della scuola, a partire dalla bidella, una simpatica vecchietta che al mattino presto andava ad accendere le stufe nelle classi e ci trattava come fossimo tutti figli suoi. Ci voleva bene, ma non esitava a punirci con qualche scapaccione  quando facevamo qualche marachella, di cui comunque i nostri genitori non venivano mai a sapere nulla a meno che non gli raccontassi tu stesso. Non c’erano a quei tempi i ricevimenti dei maestri con i genitori. I genitori ci portavano a scuola il primo giorno, poi andavamo da soli a piedi, visto che eravamo in paese. L’unica cosa che riguardava la scuola i nostri genitori la vedevano con la pagella e alla fine della scuola se venivi promosso o bocciato. Anche li però ho avuto fortuna, non mi riusciva molto la matematica, e mio padre invece che ne sapeva molto mi ha sempre spiegato quello che non riuscivo a capire. Ma era raro che i genitori aiutassero i figli a fare i compiti. Magari erano arrivato solo alla terza elementare o al più a finire le elementari, ma la maggior parte non era andata più avanti, specialmente nei paesi dove si tendeva a far lavorare i ragazzi molto presto.

Ma ho alcuni ricordi delle elementari molto belli, sia per gli amiche che mi ero fatta li, che per gli insegnanti, di cui sono stata contenta. Ma è stato un periodo che mi è passato veloce come un fulmine. Al quale sono seguiti degli anni un pò più difficoltosi, vuoi perchè dovevo andare in città per le medie e le superiori, vuoi perchè ho trovato molto diversa la vita della città rispetto a quella  di campagna alla quale ero abituata. Ho avvertito lì la diversità. Mentre  in campagna, non faceva differenza per noi che un ragazzo o una ragazza fosse figlio di un contadino o di un operaio in città noi “campagnoli” venivamo un pò emarginati, almeno inizialmente, tanto che mi ricordo i primi mesi riuscivamo a far comunella solo fra noi che provenivamo dal solito paese, poi piano piano siamo riusciti ad integrarci, prima con qualcuno di altri paesi vicini, poi con qualche cittadino che non aveva la puzza sotto il naso (come dicevamo noi dei cittadini). Si perchè un pò si credevano superiori perchè nati in città avevano avuto una vita molto diversa e, credevano loro, migliore.

Invece purtroppo per loro penso che la mia infanzia sia stata più felice, proprio perchè sono nata in campagna dove le persone si conoscevano tutte e si aiutavano fra loro. In città erano più distaccati  e anche se avevano negozi di tutti i tipi, piazze, belle strade,  con tutto a portata di mano, se molti andavano in vacanza e avevano lavori migliori, non avevano quell’armonia che avevamo noi in campagna. Dove ci accontentavamo di poco, ma ci sembrava di avere tanto.

 


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